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Un articolo di Wayne Madsen
L’inevitabilità della frattura USA – Arabia Saudita

Un certo numero di osservatori ed esperti di questioni mediorientali è d’accordo a che le relazioni USA – Arabia Saudita siano al minimo da quando il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt stabilì il “rapporto speciale” degli USA con la monarchia saudita, il 14 febbraio del 1945, pochi mesi prima della morte di Roosevelt.

30 ottobre 2013 | - : Stati Uniti Arabia Saoudita

Dopo la Conferenza di Jalta, Roosevelt incontrò il re saudita Ibn Saud a bordo dell’USS Quincy sul Grande Lago Amaro nel Canale di Suez in Egitto. Roosevelt e Saud firmarono l’“accordo del Quincy”, con cui gli Stati Uniti avrebbero fornito all’Arabia Saudita attrezzature e addestramento militare, in cambio di una base militare da installare a Dahran nel Golfo Persico, e della garanzia del flusso costante di petrolio saudita. Fatta eccezione dell’embargo petrolifero arabo avviato contro l’occidente negli anni ’70, l’accordo del Quincy è sopravvissuto a sei re sauditi.

Tuttavia, l’accordo del Quincy è in difficoltà. C’è una serie di motivi per cui le relazioni USA-saudite si fratturano. Tra cui:

• La decisione della amministrazione di Barack Obama di annullare l’attacco degli Stati Uniti contro la Siria, in cambio di un concordato USA-Russia per supervisionare la rimozione e la definitiva distruzione delle armi chimiche della Siria.

• La decisione dell’amministrazione Obama di coinvolgere l’Iran in negoziati diplomatici diretti.

• La crescente consapevolezza nell’intelligence degli Stati Uniti dei collegamenti sauditi con al-Qaida e i suoi terroristi che operano in tutto il mondo.

• La riduzione della dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio saudita, risultato dall’aumento della produzione statunitense di idrocarburi con il fracking nelle riserve di scisto negli Stati Uniti.

• La vicinanza del capo della Riasat al-Istiqbarat al-Ama, l’agenzia d’intelligence generale saudita, il principe Bandar bin Sultan, alla famiglia Bush e ad altri leader repubblicani, tra cui l’ex-vicepresidente Dick Cheney.

• La preoccupazione saudita che gli Stati Uniti usino i loro agenti della ‘primavera araba’ contro l’Arabia Saudita, con modalità di basso profilo, attraverso la “rivoluzione della chiave dell’automobile”, la diffusa protesta delle donne saudite in violazione della legge saudita sulla guida delle automobili.

Dopo che gli Stati Uniti hanno sostenuto la primavera araba della ‘rivoluzione dei gelsomini’ in Tunisia, rovesciando il vecchio uomo forte, il presidente Zin al-Abidin Bin Ali, rifugiatosi in Arabia Saudita, e la ‘rivoluzione del loto’ che ha spodestato il presidente egiziano Hosni Mubaraq, Riyadh è sempre più preoccupata che le manifestazioni di massa contro i regimi impopolari dilaghino nel ‘regno’. Infatti, le forze saudite hanno represso rapidamente alcune manifestazioni in Arabia Saudita e inviato reparti militari per reprimere spietatamente la rivolta pro-democrazia nel vicino Bahrain. I sauditi non sono mai stati a loro agio con l’ascesa al potere, nelle elezioni egiziane, dei Fratelli musulmani, in particolare della presidenza di Muhammad Mursi. I sauditi, quindi, avevano incaricato il partito filo-saudita Nur, in Egitto, a sostenere il colpo di Stato che ha rovesciato Mursi sostituendolo con il Generale Abdel Fatah Said Husain Qalil al-Sisi.

Sebbene Sisi abbia simpatie nasseriane, i sauditi gli sono molto più favorevoli che non verso i Fratelli musulmani. Mursi ha stabilito relazioni più strette con l’Iran, visto quale minaccia al regime saudita e alla ripartizione del potere saldamente instaurato nella regione. La decisione di Obama di ridurre i rifornimenti di armamenti ai militari egiziani dopo la cacciata di Mursi, ha ulteriormente infiammato le relazioni fra Riyad e Washington. Per compensare il taglio dell’assistenza degli Stati Uniti a Cairo, l’Arabia Saudita, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti hanno impegnato 12 miliardi di dollari di aiuti a Cairo, nel luglio di quest’anno. I sauditi si sono uniti ad Israele nell’opporsi alla riduzione dell’assistenza militare statunitense a Cairo, prova del crescente rapporto tra l’Arabia Saudita e la nazione che il re saudita Faisal, una volta indicò come “regime sionista”, presentando ai dignitari in visita copie splendidamente rilegate dei “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”.

Dopo aver prestato servizio come ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti, nel 1983-2005, diventando il decano del corpo diplomatico di Washington, e aver fumato sigari alla Casa Bianca con George W. Bush, mentre fumavano ancora i resti del World Trade Center e del Pentagono, “Bandar Bush”, come era noto alla famiglia Bush, era certo che gli USA avrebbero colpito la Siria per assestare un duro colpo al governo del Presidente Bashar al-Assad. Dopo tutto, l’influenza di Bandar su Bush e Cheney li convinse ad attaccare l’Iraq, rovesciando Saddam Hussein.

Bandar concluse che lo stesso complesso militare e d’intelligence degli Stati Uniti che aveva invaso l’Iraq, poteva certamente aggredire il solo regime baathista socialista rimasto in Medio Oriente, la Siria. Bandar si sbagliava.

Il segretario di Stato John Kerry, anche se sorpreso non poté resistere all’estensione da parte del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov di un accordo che vedeva la Siria disarmare il proprio arsenale chimico, in cambio della rinuncia dell’attacco statunitense. Bandar e il regime saudita erano furiosi. Cheney, che apparve nello show radiofonico di estrema destra del commentatore Hugh Hewitt, si lamentava del fatto che i sauditi non potessero più fidarsi del loro “rapporto storico” con gli Stati Uniti. Cheney condannò Obama per aver cancellato la “linea rossa” sull’uso da parte di Assad di armi chimiche, che Obama aveva in precedenza imposta alla Siria. Cheney affermò che l’amministrazione Obama aveva deluso gli alleati degli USA, che fecero la guerra contro l’Iraq assieme agli Stati Uniti nell’operazione Desert Storm, ma ignorò il fatto che tra quegli alleati c’era il padre di Assad, Hafiz al-Assad. Neoconservatori come Cheney e Hewitt alterano la storia non solo scientemente, ma anche artisticamente.

L’accordo USA-Russia sulla Siria ha anche leggermente migliorato il rapporto complessivo degli Stati Uniti con Mosca. Questo è particolarmente vero sul piano dell’anti-terrorismo. Dopo che Bandar avrebbe offerto al presidente russo Vladimir Putin un lucroso accordo con il regno saudita per l’acquisto di armi russe e l’ordine alle sue unità di al-Qaida d’osservare la tregua negli attacchi terroristici contro le Olimpiadi invernali di Sochi, in cambio dell’abbandono di Assad, apparve chiaro che i gruppi terroristici salafiti e wahabiti in Russia siano finanziati dai sauditi. In effetti, la rete di sostegno del terrorismo saudita in Cecenia e Daghestan è la stessa che ha colpito la maratona di Boston. L’offerta di Bandar a Mosca ignorava un aspetto importante della storia russa. La Russia è nota per sostenere i suoi alleati, dagli Stati Uniti durante la guerra civile contro la Confederazione, al governo dell’Afghanistan che combatteva i mujahidin islamici. La Siria non fa eccezione.

Nella preparazione delle Olimpiadi di Sochi, i servizi segreti russi e statunitensi hanno iniziato a condividere l’intelligence su al-Qaida e i piani dei suoi alleati. Gli stessi flussi di denaro e rapporti identificati prima dell’11/9 tra le fonti saudite e le cellule di al-Qaida, forniscono informazioni sul suo sistema finanziario.

La consapevolezza che USA e Russia abbiano un nemico comune nell’Arabia Saudita, suscita un certo interesse negli ex-membri della comunità di intelligence degli Stati Uniti, espandendo il regolare dialogo con i loro omologhi russi, avviatosi nei primi anni ’90 dopo il crollo dell’Unione Sovietica e, più recentemente, attraverso il “Gruppo Elba”, concentratosi principalmente sulle questioni di contro-proliferazione nucleare.

I sauditi e i loro sostenitori nei circoli neo-conservatori di Washington, hanno risposto a tale iniziativa seminando la storia sui media secondo cui l’FBI indaga su crescenti tentativi dello spionaggio russo negli Stati Uniti, in particolare sulle attività del Centro per la Scienza e la Cultura russo di Washington. I sauditi e i loro amici neo-con statunitensi si rendono conto che il centro russo, che sponsorizza le visite di scambio professionale in Russia, sarebbe una potenziale via per un dialogo di basso profilo di ex, ma influenti, funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti e della Russia. Ogni sforzo doveva essere fatto per affossare tali incontri, e il modo migliore era accusare il centro russo di essere una facciata dello spionaggio.

La decisione di Obama di chiamare il presidente iraniano Hasan Ruhani a New York, prima che partisse dal John F. Kennedy International Airport dopo il suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è stato considerato un altro affronto dai sauditi. Fu il primo contatto diretto tra un presidente statunitense e un presidente della Repubblica Islamica dell’Iran. Ulteriori incontri tra Kerry e il suo omologo iraniano e tra altri funzionari statunitensi e iraniani, dopo la notizia della volontà iraniana di fare ispezionare i suoi impianti nucleari e di limitarne l’attività, hanno fatto sperare nella distensione USA-Iran.

Con la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio straniero che si riduce dal 60 al 40 per cento, e con la previsione che gli Stati Uniti potranno presto, con il fracking di scisto e lo sfruttamento offshore, avere l’autosufficienza petrolifera, la leva finanziaria del petrolio saudita non sarà più un’arma da utilizzare per influenzare la politica statunitense in Medio Oriente.

Avendo maggior margine di manovra nei rapporti con Riyadh, l’amministrazione Obama, soprattutto attraverso la Consigliera alla Sicurezza Nazionale Susan Rice e l’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite Samantha Power, potrà tranquillamente sostenere George Soros nella sua classica “rivoluzione tematica” in Arabia Saudita. La decisione delle donne saudite, che non possono guidare nel regno, di violare la legge con una protesta nazionale è stata accolta con alcuni permessi di guida emessi dalla polizia saudita. Ma la decisione della Casa Bianca di sostenere tranquillamente la “rivoluzione della chiave dell’automobile” è la prima indicazione, anche se di basso profilo, che Washington è pronta a strappare l’accordo del Quincy.

Ma una cosa è certa per Bandar e i suoi alleati neocon di Washington e Israele. Quando saranno con le spalle al muro, colpiranno come aspidi del deserto. USA, Russia e altre nazioni dovranno rimanere in allerta.

Wayne Madsen
Strategic Culture Foundation, 29 ottobre 2013.

Tutte le versioni di questo articolo:
- The Inevitability of the U.S. - Saudi Rift